Fabbisogno e autosufficienza
Alla luce della preziosità delle sue funzioni e dell’enorme gamma d’impiego del sangue, ovviamente viene subito la domanda:"E con le nostre scorte riusciamo a far fronte a tutte queste necessità?". Diciamo subito di NO, anche se il discorso è molto articolato e complesso e va diversificato per i vari emocomponenti ma soprattutto geograficamente. Come abbiamo già detto, il sangue è un patrimonio comune, è ricchezza per tutti noi, per cui viene quasi spontaneo il parallelismo con il petrolio.
E come l'oro nero, che risente di molti occasionali condizionamenti, così il nostro oro rosso subisce continuamente crisi, anche non solo sanitarie. Queste di volta in volta si sono chiamate AIDS, epatite C, "mucca pazza", "febbre del Nilo" ecc.; leggi sempre più restrittive, immigrazione, regionalizzazione con piani trasfusionali disomogenei e compensazioni di fatto impraticabili, stagionalità e così via. Ed ancora, soprattutto, il divario, spesso enorme, tra Nord e Sud, che a volte fa apparire noi quaggiù come dei popoli in via di sviluppo. Basti pensare che già il fabbisogno per il Nord (dove viene praticata una "medicina più avanzata") viene stimato ad un livello ben maggiore che per il Sud: si potrebbe pensare per fortuna e invece..., ma ne riparleremo più avanti. Anche le stesse statistiche variano, spesso considerevolmente, a seconda delle fonti d’informazione (Istituto Superiore di Sanità, Ministero della Salute, Società Italiana di Medicina Trasfusionale e oggi il SISTRA -Sistema Informatico dei S.I.T.-) aumentando la confusione e complicando spesso la valutazione sia di fabbisogno/autosufficienza che della raccolta. Alcuni dati però sono incontrovertibili e forse solo i freddi numeri, pur nella loro monotona sterilità, sono quelli che rendono, al di là di molti paroloni vuoti, il senso della realtà. Peraltro all’esperto appare subito che essi ricalcano abbastanza da vicino quelli di alcuni anni fa. Infatti, a fronte di una stabilizzazione o di un ulteriore incremento di raccolta al Nord, non c'è stato quel marcato decollo al Sud che sarebbe occorso per rendere omogeneo l'approvvigionamento a livello nazionale; per cui, causa la mancata attuazione sovraregionale della gestione degli esuberi, quaggiù restiamo ad arrancare. Accade così che, nonostante l'eccedenza in certe regioni, la famosa autosufficienza nazionale - che sembra per certi versi raggiunta - andando poi a fare conti precisi appare improvvisamente ed inspiegabilmente allontanarsi, ovviamente anche per un maggior consumo. A Salerno, ad esempio, negli ultimi anni la raccolta ha ripreso ad aumentare dopo alcuni anni di stallo; però è divenuta operante l'ematologia, il cui consumo di sangue è intuitivo, e sono diventati Ns. "clienti" gli ospedali di Cava de' Tirreni, di Mercato San Severino e di Castiglione d'Amalfi per cui siamo daccapo in difficoltà e negli ultimi 2-3 anni di nuovo si è dovuto ricorrere all'aiuto dei SIT qua d'attorno. In questi ultimi tempi è in corso un ultimo aggiornamento dei dati ma, non potendo ovviamente cambiarli in modo sostanziale, ne prescindiamo.
E veniamo dunque ai dati quantitativi, tenendo presente due cose: in primis che la nostra non può essere una fotografia attuale perché i dati, dopo essere pervenuti da tutto il territorio nazionale, vanno elaborati dagli enti preposti a fare il punto della situazione, e poi che questi "freddi numeri" cui ci riferiamo vanno analizzati ed interpretati per capire da come va oggi la raccolta cosa ci attende per il futuro. Come al solito, la situazione è diversificata a seconda dei singoli emocomponenti. Dico subito che, se ci limitassimo a consultare la stampa specializzata, potremmo leggervi che l'Italia in materia sangue è autosufficiente: così almeno esordisce. Ma se andiamo a leggere più giù (sono dati del 2015) il Ns. ottimismo si scioglie come neve al sole. Già, perché si dice, è vero, che la stima ideale del Consiglio Europeo fissa il fabbisogno annuale delle Ns. nazioni a 40 unità di sangue (o meglio di emazie concentrate) per ogni 1000 abitanti, il che porterebbe, con una popolazione di 60 milioni di abitanti, ad un fabbisogno di 2.400.000 unità di sangue intero, per cui mancherebbe alla raccolta quasi una decina di migliaia di unità: una sostanziale autosufficienza insomma (parliamo però solo di globuli rossi). Ma se scendiamo poi al dettaglio regionale, allora cominciano i problemi e per noi sono guai. Perché quel famoso fabbisogno di 40 U. per 1000 abitanti vale, come dicevamo, per il Nord Italia mentre al Sud scende con la punta minima, "modestamente", in Campania, dove è poco più di 25. Infatti la Ns. Regione tra tutte ha il primato negativo della raccolta ma anche, come vedremo, della qualità della raccolta.. Quel valore di ca. 25 che per noi è l'autosufficienza è dovuto al fatto che la Ns. sanità è "figlia di un Dio minore" limitandosi ad un livello di basso profilo quanto a patologie trattate (le più impegnative migrano al Nord!). Qualche ostinatamente ottimista potrebbe commentare: "Va be', l'importante è che il sangue ci basta". Come dire: abbiamo cure inadeguate e ci sta bene, d'altronde non ci potremmo permettere altro col sangue che abbiamo....Se mai, dico io, questa riduzione artificiale del fabbisogno dimostra due carenze: quella medica, prevalentemente chirurgica, e quella trasfusionale. Dite quello che volete, ma leggere che in Campania si raccolgono 27 U/1000 abitanti mentre in Friuli 52 mi fa davvero male. Non so a voi.
Venendo poi alle piastrine, solo il 33% del raccolto è da aferesi esponendo i riceventi ad un maggior rischio immunologico (la dose terapeuticamente efficace dei concentrati piastrinici ricavati dalle singole unità di sangue -vedi all'articolo "La donazione di sangue"- è almeno di 5-8 unità, ma spesso anche 10-15, mentre per supportare i piastrinopenici è sufficiente in genere la trasfusione di una, al massimo due unità di piastrine da aferesi, e quindi con un rischio immunologico 5-8 volte minore: ricordo che la trasfusione è una sorta di trapianto, per cui ricevere sangue da più persone facilita l'immunizzazione -con la possibilità di non poter ricevere altre trasfusioni- oltre ad aumentare il rischio infettivo).
Queste criticità diventano poi drammatiche d’estate (nel 2000 tutta l’Italia è rimasta senza sangue, e anche nel 2002, anche se in minor misura, e così quasi periodicamente ogni 4-5 anni; ma, senza andare tanto indietro nel tempo, l'estate del 2014 tutta la Campania è restata "a secco"). D’estate infatti, in particolare in agosto, le attività chirurgiche di elezione sono sospese -e rallentate da metà luglio a metà settembre- (un po' ciò che accade a Pasqua e Natale) per cui l'aiuto fornito dai parenti dei ricoverati si annulla del tutto, aiuto a cui è ovviamente impossibile pensare -manca il tempo persino di chiamarli i donatori!- nei casi di emergenza in reparti -che sono poi quelli che all'ospedale di Salerno consumano più dei due terzi del sangue raccolto- come cardio-chirurgia, neuro-chirurgia, chirurgia vascolare e d’urgenza (ovviamente si tratta dei casi di più difficile soluzione e quindi a più elevato consumo di sangue). Per di più, tutti sono in vacanza e i donatori periodici o non sono affatto reperibili, perché assenti, o stanno per partire e non hanno tempo di venire o sono appena tornati e non se la sentono di donare. Insomma un inferno! Ed anche nella stagione invernale abbiamo le nostre crisi (all'inizio di quest'anno si è dovuto importare sangue dalla Puglia perché non solo Salerno ma tutta la Campania era senza sangue!), quando l’influenza falcidia tutti, donatori compresi, o di primavera quando le allergie fermano molti donatori. E allora...? Ma è mai possibile che ancora oggi in tema sangue il malato debba augurarsi di non finire in ospedale a Natale, Pasqua o d'estate?...
Altro aspetto importante in tema approvvigionamento è quello della qualità del sangue raccolto. Tutti noi ci auguriamo ed abbiamo il diritto di poter disporre, nella sfortuna, oltre che del sangue necessario, anche di quello sicuro. Come abbiamo già anticipato, il sangue sicuro forse non potrà mai esistere, trattandosi di un prodotto biologico, ma quello tranquillo esiste già ed è quello proveniente dai donatori periodici: continuamente controllato sanitariamente nelle ripetute donazioni dei donatori più puntuali, è il sangue più affidabile che esista. Bene, al Nord il 90% ca. del sangue raccolto proviene da periodici mentre al Sud non supera il 70-75%. Ciò significa che nell’”altra Italia” il malato che ne abbisognasse, oltre ad essere quasi sicuro di trovarlo, avrebbe la garanzia che in quasi nove casi su dieci provenga da “braccio sicuro”; da noi, ammesso che non avessimo problemi di reperimento (ma abbiamo visto che così non è), in 1/3 dei casi rischiamo una provenienza da donatori occasionali, non direi pericolosi, ma almeno non altrettanto affidabili. Tra parentesi, è questo anche il motivo per cui non si può contare su chi donatore non è, ma si dichiara disponibile…”per quando ce n’è bisogno”, a suo dire. Un tal "donatore" infatti è meno affidabile perché, se egli pensa che il suo parente non venga operato se lui non dona, può "dimenticare" di riferire al medico selezionatore qualche motivo di sua inidoneità, magari anche solo sospetto, oppure si presenta alla donazione non nelle condizioni ideali, fisiche o psichiche. E quel sangue, quasi sicuramente, non andrà al suo parente. Invece il periodico si propone solo se sa di non avere "scheletri nell'armadio" ed è in perfetta forma. E in casa nostra come va? Inutile dirlo: ancora una volta la Campania è l'ultima in quanto lo scarto di sangue per motivi sanitari è il più alto d'Italia (insomma -sempre "modestamente"- abbiamo il sangue più pericoloso): questo significa che molto del nostro sangue proviene da donatori occasionali. Insomma l'opposto del sangue "sicuro"!
Terzo importante capitolo (dopo quantità e qualità) del problema approvvigionamento è quello del prodotto: parliamo del plasma. E per il plasma va ancora peggio perché, possiamo dire, tutta l'Italia è in affanno: posto il fabbisogno approssimativamente a 13-14 Kg. per 1000 abitanti, l'intera Italia "vanta" un'autosufficienza non superiore all'85% (765.00 Kg. ca. sugli 880.000 necessari) per cui una parte degli emoderivati li deve acquistare da fonti non altrettanto sicure (ricordo che le industrie italiane -per una volta facciamo meglio degli altri- li preparano solo da unità di sangue analizzato sacca per sacca, non da pool -cioè dopo il mescolamento, con relativa diluizione- anche di 5.000 sacche, come accade in altre nazioni: è facile intuire che, se una sola di quelle sacche è portatrice di una modesta carica virale, così diluito il pool possa anche risultare negativo agli esami; ma è poi il malato ad "accorgersene"....). Esistono, è vero, dei sistemi di "purificazione" per cui rischi seri non se ne corrono ma, mi chiedo, è mai possibile che quella volta tanto che noi siamo più affidabili degli altri possiamo non essere determinanti perché manca la materia prima? Per ciò che concerne poi la distribuzione sul territorio, tornando al Sud, pensate, alcuni anni fa tutti i Servizi Trasfusionali dell’Italia Meridionale (16 milioni di abitanti) hanno inviato all’industria 60.000 litri di plasma mentre la sola Lombardia (9 milioni di abitanti) 110.000 litri. Per contro quaggiù abbiamo consumato, di sola albumina, mezzo milione di unità (volumi sicuramente esagerati!), che è la quantità che si estrae da 220.000 litri di plasma: come dire che abbiamo seminato per 100 ma vogliamo raccogliere per 400. Ricordo che già al congresso di Trento del 2003 con orgoglio si disse che la raccolta in Campania negli ultimi 10 anni si era quasi raddoppiata. Già, ma si partiva da un bilancio mortificante di 7.500 lt. e, per venire ai gg. Ns., dal 2010 al 2015 la raccolta s'è triplicata, ma i dati restano sempre critici: riprendendo il confronto col Friuli, là nel 2015 si sono raccolti 26.000 Kg. da 1.229.000 abitanti, in Campania 28.000 da 5.890.000, praticamente un quinto! Non solo, ma anche la qualità del plasma raccolto lascia a desiderare: quello di tipo A (cioè da aferesi -ne parleremo- che è il migliore in assoluto, verso cui si dovrebbe orientare tutta la raccolta) è poco più del 20%! E ancora, l'impiego clinico del plasma è largamente inappropriato: quello ad uso clinico è stato il triplo di quanto consigliato dall'Organizzazione Mondiale della Sanità venendo così sottratto all'industria con i problemi economici e sanitari di cui si diceva. Quindi anche a questo proposito due problemi: carenza di raccolta, certo, ma anche utilizzo inappropriato, francamente eccessivo: non scordiamo che quella trasfusionale è comunque una terapia a rischio. Ricordiamo per inciso che il problema del sistema o tecnica ideale di produzione del plasma (l'aferesi) riguarda anche le piastrine che, come detto, solo per 1/3 sono raccolte per quella via (quindi con un rischio d'immunizzazione, come s'è detto, almeno 5 volte più alto) donde la necessità di incrementare le donazioni con questa tecnica che è la donazione del domani. E' per questo motivo che ci sentiamo di sollecitare con tutta l'energia possibile i donatori periodici che ci leggono ad essere disponibili a donazioni in aferesi che, come diciamo altrove, mentre preleva al donatore ciò di cui è più ricco, consente una donazione più sicura e terapeuticamente efficace per il malato.
Ma tutto il Ns. discorso è rivolto specialmente a chi donatore non è: non vogliamo più tediarvi con i numeri (anzi forse abbiamo pure esagerato) né "preoccuparvi con le cattive notizie". Ma tutti questi dati sono serviti solo per potervi chiedere: sono stati sufficienti per far capire a tutti, nonostante i progressi realizzati, quanta strada -almeno dalle parti nostre- c'è ancora da fare? E per questo impegno serve l'aiuto di tutti!